Un’emergenza epidemiologica e clinica a livello mondiale (ma anche nazionale) che nel 2016 ha portato alla morte di 828.940 persone a livello globale. Stiamo parlando delle malattie croniche del fegato, al centro di un ciclo di incontri organizzati da Motore Sanità, che ha coinvolto medici ed esperti del settore per capire i campi d’intervento e le nuove frontiere della tecnologia per contrastare questa patologia. Non si tratta poi solo di cura della fase acuta della malattia ma anche di prevenzione. Il Global Burden of Diseases infatti stima che per il 2040 ci possa essere un incremento del numero di decessi per carcinoma epatico e per cirrosi epatica rispettivamente del 100% e del 50%.Per intervenire in questo contesto tutti i professionisti del settore socio sanitario possono contribuire a una diagnosi più specifica e tempestiva, a partire dai medici di famiglia, che hanno però bisogno di un aggiornamento per quanto riguarda le diverse tipologie di trattamento, ma non solo: “In alcuni casi, le malattie croniche a carico del fegato mancano di una vera e propria classificazione, e sono privi di un’esenzione ticket – ha spiegato Ignazio Grattagliano, medico di famiglia, presidente Simg Puglia – intervenire in questo senso renderebbe più agevoli i controlli periodici che questi pazienti devono portare avanti negli anni, che vanno dalle analisi biochimiche alle visite specialistiche, senza contare che, laddove c’è un esenzione, viene così agevolata anche la fascia della popolazione meno abbiente. Alcuni esami si potrebbero inserire nei Lea (livelli essenziali di assistenza, ndr). Ad esempio quelli che sono fondamentali nella diagnostica non invasiva, come il Fibroscan o equivalenti, che al momento invece non sono in convenzione e gravano ancora sul portafoglio del paziente nei suoi controlli periodici”.
Fra le malattie croniche del fegato particolarmente grave è l’encefalopatia epatica, presente in almeno il 20% dei pazienti cirrotici. La presa in carico di questi pazienti deve garantire un accesso uniforme alle cure, ma soprattutto una corretta aderenza alla terapia fondamentale per prevenire le gravi complicanze. Per questo motivo è stato evidenziato nel ciclo di incontri l’importanza di ripensare l’organizzazione della gastroenterologia del territorio. Serve un impegno di tutti gli attori coinvolti per non fare mancare nei Piani regionali per l’assistenza alla cronicità la giusta attenzione per questi pazienti, attraverso una collaborazione tra medicina ospedaliera e territoriale. Antonio Benedetti, Presidente di Sige (Società italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva) ha precisato: “Agenas e il Ministero della salute hanno sottolineato l’importanza di istituire una Commissione FISMAD (Federazione Italiana Società Malattie Apparato Digerente) che si interessi della gastroenterologia territoriale. La Commissione ha stilato una serie di flowchart tra le quali alcune sulla cirrosi epatica e quindi anche sulla encefalopatia. Si è ipotizzato un percorso comune che vada a definire i PDTA a livello territoriale per coinvolgere, ognuno con le sue specifiche competenze, specialisti, medici di medicina generale, associazioni di pazienti e tutto l’ambito infermieristico”.
Nel ventaglio di patologie legate al fegato troviamo anche le malattie epatiche autoimmuni dell’adulto come la colangite biliare primitiva (PBC), l’epatite autoimmune (AIH), la colangite sclerosante primitiva (PSC) e la malattia epatica IgG4 mediata. Sono malattie considerate relativamente rare ma se non diagnosticate e non curate adeguatamente progrediscono in termini di severità clinica sino alle fasi di cirrosi scompensata del fegato e, caratteristica della PSC, al colangiocarcinoma.
Anche in questo caso il nodo centrale rimane la formazione dei medici di base per una corretta e tempestiva diagnosi. Ad aiutare in questi percorsi diagnostici non sempre immediati arriveranno anche le risorse del PNRR (Piano Nazionale di ripresa e resilienza), che offrono importanti strumenti per migliorare la gestione dei pazienti fragili come quelli con cirrosi epatica. Le stime più recenti parlano di circa 1 milione di morti nel mondo ogni anno per cirrosi, posizionandosi all’undicesimo posto per causa di morte più comune, ed è anche la terza causa di morte tra le persone di età compresa tra 45 e 64 anni, risultando responsabile, insieme al cancro al fegato, del 3,5% di tutti i decessi in tutto il mondo. Ci sono diversi esempi virtuosi in tal senso. Ad esempio in Abruzzo è stato stilato un PDTA per la cirrosi epatica coinvolgendo sia gli esperti ma anche e soprattutto i medici di medicina generale per evitare il più possibile il ricorso all’ospedalizzazione e la delocalizzazione del paziente: “Proprio dai mmg viene dato al paziente l’input di andare dallo specialista – ha spiegato Pierluigi Cosenza, Direttore dell’Agenzia Sanitaria Regionale della Regione Abruzzo -. Compito fondamentale quindi del medico di medicina generale è identificare precocemente il paziente epatico a rischio evolutivo ed indirizzarlo dallo specialista per poi riprenderlo in carico nella fase di cura e monitoraggio”. Per le malattie croniche del fegato esiste poi un sommerso che deve essere al centro di un percorso di diagnosi puntuale. Il Covid ha avuto un effetto dannoso sulla prevenzione delle malattie infettive, una fra tutte l’HCV quindi anche sull’impiego dei test per la diagnosi precoce dell’infezione. Bisogna realizzare test al di fuori dagli ospedali per identificare quei pazienti con epatite C non ancora raggiunti dai servizi sociosanitari. Questo può essere possibile solo attraverso strutture sul territorio, come i SerD e i Centri di malattie sessualmente trasmesse.
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